di Claudia Andreotta
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L’approccio all’arte di Giusi Lorelli nasce imprescindibilmente da un dubbio: l’innegabile potenza attrattiva delle sue opere irrompe con l’inevitabile domanda “Dipinto? Fotografia?”. È così compiuto il “passo zero” verso il vortice dell’indeterminato, in un cosmo che fonde suggestioni barocche e violente, dense di tensioni emotive, trasfigurate in una rarefatta ma lucida poesia. Non si tratta tuttavia di un viaggio verso mondi altri, ma di una immersione totale nella primigenia condizione agonica dell’uomo: il confronto con il multiforme, spaventoso “sfidante” nell’eterna lotta verso la consapevolezza di sé. L’uso controllatissimo di mezzi tecnici e linguistici, senza enfasi o retorica, conduce in un percorso verso l’inconoscibile: non un vagabondaggio senza meta, ma una vera e propria rotta stabilita nella direzione esatta di un fioco lucore, “anteprima” del vero io oltre le tenebre. Una ricerca pervicace sugli interrogativi archetipi insiti nell’uomo che mai trova risposta né nell’illusione illuministica della razionalità sovrana, né nell’elusio- ne obnubilante di mistici abbandoni. Le questioni poste, suscitate anche da esperienze intimamente personali, vengono sfrondate da ogni elemento individuale per traslarsi in universalità, in una urgenza indifferibile di interrogarsi. Il Rivoluzionario passo zero – emblematico titolo che racchiude senso e significato delle più recenti opere dell’artista (2014-2018) – dinanzi alla caduta delle certezze decide di lottare con l’ignoto, con- scio di voler vivere un’esperienza destabilizzante alla ricerca del sé, ma senza poter immaginare la forma del pericolo al quale intende per sua scelta esporsi.
Giusi Lorelli ritrae il momento sospeso, il “passo zero” che precede l’inizio della battaglia, rendendo palpabile la vibrazione emotiva di una situazione della quale non è scontato l’epilogo vittorioso. Anche lo spettatore deve soffermarsi, abbandonando ogni conoscenza pregressa: il linguaggio stesso di queste opere è infatti “rivoluzionario”, spesso con significati opposti all’iconografia classica. E se il dubbio iniziale si risolve in favore della fotografia, permane, a livello interpretativo, un senso di non ri- solto: il recupero della dimensione personale dell’esistere è fatto irripetibile con uguale modalità per due individui diversi. L’artista indica il solo itinerario percorribile, ma non può fornire indicazioni: certa la rotta, certa la destinazione, (in)certa la natura del viaggio nell’anima.