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In mineralogia si ha una pseudomorfosi quando un minerale si trasforma in un altro mantenendo inalterata la propria composizione chimica. Allo stesso modo le opere che compongono il progetto Pseudomorphika hanno la “composizione della fotografia” senza esserlo, ne hanno la tecnologia ma non il linguaggio e le figure umane che ritraggono esistono ma in maniera differente da come appaiono.
Alla base della ricerca che ha condotto a questi esiti sono alcune domande che anni fa si sono imposte con urgenza nel mio lavoro di fotografa: fino a che punto si può descrivere un fenomeno fotografandolo? Fino a che punto è utile analizzare? Si può essere realmente oggettivi? Che cosa manca in un’immagine identica alla porzione di realtà che ritrae? Sebbene artisti come Cartier-Bresson e Salgado mi avessero dimostrato ampiamente la possibilità di un fotografare poetico pur nella limitata oggettività del mezzo tecnologico, improvvisamente ho avvertito il pericolo dello sguardo eccessivamente analitico sulla realtà che la fotografia stava e tuttora sta contribuendo a normalizzare. Uno sguardo che moltiplica all’infinito un dato superficiale ma smette di indagare nel profondo, che insiste sull’individuo nella società ma tralascia l’uomo, tagliando definitivamente i ponti con qualsiasi tradizione artistica e filosofica. Considerando invece ancora vitali gli interrogativi archetipi sull’esistenza, il mistero dell’essere vivi e del morire e l’ambiguità sostanziale di ogni fenomeno, ho deciso di provare a piegare il mezzo fotografico a queste istanze. Sul piano tecnico si sono quindi rese necessarie due operazioni: ampliare le competenze includendo le tecniche di manipolazione e pittura digitale; codificare un linguaggio che non rischiasse di confondersi con l’illustrazione o con il genere fantasy. Non si tratta infatti di immaginare altre realtà disinteressandosi dei problemi pratici del mondo, che vanno affrontati in ben altri modi e contesti, ma di recuperare uno sguardo conscio su quel confronto con il multiforme e l’inconoscibile da cui da sempre origina l’esistenza. Uno sguardo che sembra oggi totalmente assorbito dall’analisi minuta dei fatti di attualità e che, a mio parere, è alla base delle innumerevoli distorsioni della società che abbiamo creato.
Attualmente tale percorso di ricerca è testimoniato principalmente da due serie di opere: Rivoluzionario passo zero, conclusa nel 2018 e più volte esposta, e Ka, serie inedita iniziata nel 2019 e tuttora in lavorazione. Pseudomorphika raccoglie da questi due momenti distinti i passaggi salienti soprattutto in relazione al trattamento del corpo e del volto, che vengono fotografati e poi ricostruiti “pseudomorficamente” secondo norme via via sempre più strutturate, col preciso intento di dar forma a figure che possiedano i tratti fondamentali dell’ambiguità, dell’incerta e controllata verosimiglianza, indispensabili a esprimere quegli impulsi originari dell’agire umano che costituiscono il fulcro tematico dell’intera produzione.
Il progetto contiene anche l’opera Giovane Edwarda, attualmente in fase di stampa.
Di quattro parti – 2019
Ka – 2019
Maciste contro tutti – 2018
L’ora delle guarigioni – 2017
Vigilia del ritorno – 2016
Maria Mandinga – 2016
Catalina tra i dannati – 2015
Gemelli: il maschio e la femmina – 2014